QUANDO GLI ALLIEVI SONO… “ASINI” / Insegnamento “tradizionale” e innovazione didattica

Gli adulti di oggi ricorderanno bene che nelle aule scolastiche di una volta esistevano, genericamente, due sole categorie di studenti:

– quelli bravi (con diverse tonalità di “brillantezza” e di rendimento)

– gli “asini” (con tutte le possibili sfumature di “ottusità” e un’interminabile collezione di voti scarsissimi).

Era una divisione, molto discriminatoria, che faceva sì che gli allievi migliori procedessero negli studi

speditamente, lasciando i compagni meno dotati a fare da “zavorra”.

 

Ci sono voluti decenni per comprendere che non esistono gli “asini” ma soltanto allievi che hanno Bisogni Educativi Speciali. Sono gli studenti che presentano deficit dell’attenzione, disagi socio-culturali, disturbi dell’apprendimento legati alla difficoltà di decodificare le lettere e i segni grafici (dislessici, disgrafici, ecc.).

Attraverso l’innovazione didattica, i piani di studio personalizzati e gli “strumenti compensativi”, tutti questi ragazzi (gli “ex asini” ) oggi possono raggiungere risultati apprezzabili.

Cosa succede, invece, nell’insegnamento delle attività motorie e, soprattutto, in quello delle arti marziali?

Anche qui, purtroppo, l’insegnante tende a dividere gli allievi in:

– bravi (con capacità fisiche e coordinative più o meno adeguate)

– scarsi (goffi, imbranati, “impediti” da un punto di vista motorio).

In ossequio a un certo tipo di “insegnamento tradizionale”, molti insegnanti vanno dritti per la loro strada, attenendosi a un “PROGRAMMA”, senza preoccuparsi di adottare particolari strategie per gli allievi meno dotati.

Anche in questo caso gli allievi bravi andranno avanti mentre gli altri, spesso abbandonati a sé stessi, stenteranno nell’apprendimento. Ovviamente, molti di essi abbandoneranno la disciplina.

Ma anche in questo caso gli “asini” sono tali soltanto per l’insegnante “integralista” o poco preparato sul piano della metodologia didattica. Questo genere di insegnante potrà anche essere bravissimo tecnicamente, potrà vantare una “genealogia marziale di primo piano”, potrà esibire tutti i diplomi di questo mondo ma, come “maestro”, è destinato a fallire.

Tanti allievi che nei corsi di arti marziali stentano a progredire hanno Bisogni Educativi analoghi a quelli che si riscontrano nelle scuole. Molti hanno infatti una percezione grossolana del loro schema corporeo, presentano deficit nell’assimilazione degli schemi motori di base (magari hanno trascorso l’infanzia davanti al televisore…), sono poco flessibili, deboli  o del tutto scoordinati.

Spesso i problemi coordinativi sono cosi gravi che si evidenziano enormi difficoltà nel “decodificare” i movimenti proposti. Ovviamente questo rende impossibile la riproduzione di questi movimenti,  così come la loro memorizzazione neuro-motoria. Questo genere di disturbo dell’apprendimento è simile alla “dislessia” e viene comunemente chiamato “disprassia”. Nelle palestre, seppur in forma lieve, è più diffuso di quanto sembri.

Ora, in questa modestissima sede, destinata alla comunicazione “veloce” non è possibile elencare le strategie più opportune per far fronte a tutti i casi. Possiamo però indicare alcune linee generali.

Innanzi tutto occorre FACILITARE la comprensione degli esercizi o dei movimenti complessi (una figura di Taiji, un kihon di Karate, un jurus di Silat, ecc.), cercando di SCOMPORLI in brevi movimenti. Essi vanno reiterati  e assimilati prima di passare al  breve movimento successivo. L’esercizio completo va poi “montato” poco alla volta, concatenandone le varie fasi, passando DAL SEMPLICE AL COMPLESSO.

Occorre poi ricordarsi che ogni allievo ha un suo “STILE DI APPRENDIMENTO”. Per alcuni basta vedere l’esercizio riprodotto correttamente dall’insegnante. Sono però molti di più quelli che hanno necessità di spiegazioni verbali molto dettagliate, mentre altri vanno  addirittura “manipolati” fisicamente (aggiustando con le mani la posizione, l’ampiezza del movimento ecc.) un po’ come fanno i maestri di danza balinesi con le loro giovani allieve (le manovrano quasi come “marionette”, fino a quando le bambine non padroneggiano tutte le movenze).

Questo tipo di intervento rafforza gli input propriocettivi: nel Taiji, ad esempio, esistono molti “test” per verificare l’assetto posturale, con l’insegnante (o il compagno) che sollecita una parte del corpo per verificarne il rilassamento, la pienezza o l’esatta disposizione nello spazio.

Un ruolo importante deve essere assegnato all’APPRENDIMENTO COOPERATIVO, per cui gli allievi, a coppie o a piccoli gruppi (costituiti in maniera eterogenea: uno “bravo” con uno o due “in difficoltà”) lavorano insieme. L’allievo più in gamba, ovviamente, non se la deve “tirare”, deve invece mostrare un atteggiamento di grande umiltà e disponibilità (come, d’altronde, si conviene a un buon praticante di arti marziali).

Le strategie da attuare possono essere tante. Il primo passo, però, è rendersi conto che “il problema esiste” e che è giusto risolverlo, andando incontro alle necessità degli allievi meno dotati. L’insegnamento deve essere “inclusivo” e non discriminatorio.

Un vecchio luogo comune vorrebbe che “un grande maestro produce grandi allievi (campioni)i”. Un altro vorrebbe che egli producesse “altri grandi maestri”. Noi, invece, siamo convinti che un bravo maestro (lasciamo perdere la “grandezza” che ai nostri giorni è merce rara): FA EMERGERE IL  (LORO) MEGLIO DA TUTTI GLI ALLIEVI. Anche perché… ad insegnare a quelli bravi e dotati… sono capaci tutti.

2 thoughts on “QUANDO GLI ALLIEVI SONO… “ASINI” / Insegnamento “tradizionale” e innovazione didattica

  1. CARO MAESTRO,SICURAMENTE,SARO’ PROMOSSO DALLA CATEGORIA “ASINI”ALLA CATEGORIA SUPERIORE.IL MERITO SARA’ INTERAMENTE TUO.

    1. Grazie. Troppo buono. D’altra parte, già da molti anni ho maturato l’idea che la categoria degli “asini” non è mai esistita. Con la pazienza e il giusto “metodo” (che però non può essere “standardizzato”, ma deve essere “flessibile e “appropriato”) adesso è possibile eseguire tutte e 74 le figure della Lao Jia, o riprodurre una complessa “sumbrada” di Kali. C’è da dire, però, che la passione e l’entusiasmo di chi apprende costituisce per lo meno il 50% per cento degli ingredienti che hanno portato a questo risultato. Bravo il maestro… ma forse ancora più bravo l’allievo.

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