TRARRE ENERGIA DALLA TERRA E DAL CIELO

L’uomo: anello di congiunzione fra Cielo e Terra

Nella cultura cinese l’uomo viene visto come una sorta di anello di congiunzione tra il Cielo (massima espressione dello Yang, ma anche del mondo spirituale) e la Terra (lo Yin per antonomasia, così come l’emblema del mondo materiale).

Per godere dei benefici di questi due princìpi, espressione di due tipi di energia opposta e complementare, l’uomo però deve imparare il modo di congiungerli in se stesso  e armonizzarli.

In un detto  cinese si dice che  “L’uomo superiore si distingue per due qualità: la saggezza interiore e la regalità esteriore”. Questa “regalità” è evidente nell’incedere e nel portamento che mostra, in tutta evidenza, come quest’uomo “superiore” sia ben sostenuto dal Cielo e ben radicato nella Terra.

Rimanendo su un piano più pratico, questa “regalità”, che non è solo forma esteriore bensì anche sostanza interiore, è fra le altre cose una dimostrazione del costante controllo del corpo e, incidentalmente, anche della mente.

Questa capacità di estrinseca:

– nel perfetto allineamento posturale,  che mai contrasta la forza di gravità ma la “asseconda” e la “sposa”;

– nel costante governo del tono muscolare (e quindi del rilassamento e del conseguente “radicamento”);

– nella percezione continua del respiro e del battito cardiaco.

Queste condizioni incidono molto sul nostro stato di salute, sul nostro benessere psicofisico.

Su semplici concetti come questi, i Cinesi hanno costruito le fondamenta del Qi Gong, il “lavoro sull’energia”.

Il Qi Gong viene normalmente diviso un due grandi sezioni: quello “statico” e quello “dinamico” (e il Taiji ne è una forma complessa e dalla prospettiva marziale, oltre che salutistica).

Ovviamente il primo genere di lavoro è molto più semplice e le  posizioni statiche costituiscono pertanto uno strumento prezioso per iniziare la pratica “energetica”.

L’ESERCIZIO DEL PALO ERETTO

Fra le posizioni maggiormente conosciute per coltivare salute ed energia vi è quella del “palo eretto” (in cinese: ‘Zhan Zhuang’). Si tratta, sicuramente del più noto esercizio di Qi Gong, e  in Cina viene praticato persino negli ospedali come “terapia di supporto” della medicina tradizionale.

Sebbene l’esercizio del “palo eretto” sia focalizzato primariamente sulla POSTURA, esso richiede, come tutti gli esercizi di Qi Gong, il rispetto di altri principi:

– il giusto grado di ATTENZIONE,

– un attento controllo del TONO muscolare

– la consapevolezza della RESPIRAZIONE

– una quieta ma ferma predisposizione al RILASSAMENTO.

PREREQUISITI

Ancor prima di cercare il corretto atteggiamento posturale, occorre liberare la mente da ogni pensiero, riempiendola esclusivamente con una sensazione: quella della nostra “presenza fisica”. Attraverso l’ottimizzazione dell’appoggio osseo riusciremo quindi a rilassare tutti i muscoli.In questo modo faremo compiere alla nostra struttura scheletrica il dovuto lavoro di sostegno e, perfettamente allineati alla forza di gravità, permetteremo ai nostri muscoli di evitare ogni contrazione “parassitaria”.

Grazie a una respirazione profonda, sottile e diaframmatica (respirando, cioè, “con la pancia”) riusciremo infine a irradiare all’interno del nostro corpo l’ondulazione ritmica che il respiro trasmette, come un piacevole massaggio, ai nostri organi, tessuti e fluidi organici.

Il primo obiettivo del lavoro è comunque diventare “padroni della propria attenzione”. Inizialmente, infatti, ci accorgeremo di non essere in grado di prestare attenzione alla nostra postura per più di qualche minuto, senza essere disturbati da “pensieri molesti “.  Ricordiamo che l’esercizio del “palo eretto” ha una forte componente meditativa, per raggiungere lo stato di “quiete” ci vuole pazienza, rimanendo calmi e perseverando nella pratica.

ACCORGIMENTI POSTURALI

– Distendiamo (come se ci volessimo espandere) e poi rilasciamo tutte le giunture del corpo, lasciando che il peso del corpo scorra in basso e, attraverso gli arti inferiori, fluisca nei piedi per poi “scaricarsi” a terra (cerchiamo di coltivare la sensazione di “radicamento”).

– I piedi vanno tenuti paralleli, alla stessa larghezza delle anche (è comunque possibile esercitarsi in posizioni più ampie e più basse).

– Le caviglie saranno flesse quanto basta per permettere al peso del corpo di distribuirsi su tutta la superficie plantare.

– Il peso del corpo nel suo insieme è bilanciato sui due piedi e le dita dei piedi “afferrano” delicatamente il terreno, sentendone il contatto attraverso i 9 punti di percezione.

– Risalendo verso l’alto, le ginocchia vanno tenute “morbide”, leggermente piegate.

– Tra le ginocchia occorre tenere un immaginario pallone, che va trattenuto senza sforzo; le ginocchia devono essere allineate perpendicolarmente con gli alluci.

– Le anche sono rilassate e leggermente “affondate” mentre l’estremità del coccige è rivolta in basso e leggermente in avanti (come se volessimo sederci su un alto sgabello); è infatti fondamentale imparare a rilassare l’area inguinale, l’articolazione coxo-femorale e la zona lombo-sacrale.

– Il tronco va tenuto eretto con le vertebre perfettamente allineate una sull’altra, lungo un asse ideale che unisce il sincipite (la sommità del capo) con il centro del perineo (pavimento pelvico), passando per il centro di gravità del corpo (situato sotto l’ombelico e davanti alla terza vertebra sacrale).

– Il petto va rilassato e rientrato leggermente a livello dello sterno, in modo da consentire alle spalle di arrotondarsi e alle scapole di abbassarsi.

– La testa punta verso l’alto, come se fosse tirata da un filo immaginario che collega idealmente il vertice del capo con il cielo, il mento è pertanto leggermente piegato verso il basso.

– Le braccia formano un cerchio davanti al petto, come se abbracciassero un albero o sorreggessero una grossa palla, le dita delle due mani si fronteggiano, senza toccarsi.

Questi sono i “principali” accorgimenti della pratica del “Zhan Zhuang” che costituisce una sorta di esercizio “principe” per avvertire l’energia di Cielo e Terra. Ovviamente il controllo di un insegnante o di un praticante esperto è più che opportuno, quanto meno all’inizio, per evitare degli errori negli assetti posturali, poiché, per quanto possa sembrare strano, abbiamo normalmente una percezione molto approssimativa del nostro schema corporeo.

L’impegno richiesto per mantenere a lungo la postura è impensabile all’inizio; si può iniziare tenendo la posizione per 5/6 minuti, aumentando poi la durata di 1/2 minuti a settimana. Nell’arco di qualche mese si arriverà poi a circa mezz’ora,  una durata sufficiente affinché l’esercizio produca benefìci evidenti.

A questo punto la percezione del proprio schema corporeo si affinerà e diventerà molto più accurata. Migliorerà enormemente il tono muscolare, in particolare modo quello dei muscoli posturali. Per quanto possa sembrare strano, anche la trasmissione degli stimoli neuro-motori  migliorerà, incrementando la nostra reattività e la rapidità segmentaria (esistono ricerche in tal senso fatte nei laboratori americani di neurofisiologia). Soprattutto aumenterà la nostra energia vitale e spariranno eventuali lombaggini, cervicalgie e altri dolori legati a vizi posturali conclamati.

I BENEFICI DEL RADICAMENTO

Fra i tanti benefici del Qi Gong statico e della pratica di “unire in noi il Cielo e la Terra” c’è la capacità di ottimizzare il radicamento. Cosa che implica la consapevolezza di essere presenti e connessi con il proprio corpo e con il suolo che lo sostiene. Il che è fondamentale non soltanto per il nostro benessere fisico ma anche per quello mentale. Infatti, già nel secolo scorso, il celebre psichiatra americano Alexander Lowen (1910-2008)  aveva messo in relazione un vissuto improntato a insicurezza e sfiducia con la difficoltà nell’avere un solido appoggio con il terreno. A questo proposito Lowen ha scritto: «La nostra casa è il nostro corpo. Non essere connessi in modo sensibile con il proprio corpo vuol dire essere uno spirito disconnesso che fluttua attraverso la vita senza alcun senso di appartenenza.Tutti i pazienti con cui ho lavorato sentono, in misura maggiore o minore, questa separazione e solitudine, ed è un tragico modo di esistere. L’obiettivo del mio lavoro terapeutico è aiutare le persone a ritrovare il loro senso di connessione con la vita e con gli altri, e radicarsi è l’unico modo per farlo».

Dovremmo cercare di imparare dagli alberi: con le radici che affondano nel terreno, traendone sostegno e sostentamento e  le fronde e le foglie protese verso l’alto,  la luce e il cielo.

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