LA “RIORGANIZZAZIONE” DEL MOVIMENTO (Fra Taiji e Metodo Feldenkrais)

 

Ogni qual volta si parla di “espressioni di forza” nel Taijiquan, sono in tanti a storcere il naso: i primi a farlo sono quegli stessi praticanti di Taiji che non hanno mai voluto o potuto affrontare l’approfondimento di questo aspetto.

Vero è che nel Taijiquan il rilassamento è una costante della pratica, ciò però non significa che si rinunci alla giusta “tensione”. Morbido e duro sono principi complementari che vanno equilibrati con armonia. Raggiungere questo obiettivo vuol dire utilizzare al meglio le nostre risorse psico-fisiche e accrescere notevolmente le nostre potenzialità motorie. Ciò si ottiene attraverso una vera e propria “rieducazione del corpo e del movimento”.

La prospettiva educativa del Taiji è simile a quella del Metodo Feldenkrais*.
Ambedue le discipline si basano sull’acquisizione di una nitida percezione dei propri schemi motori e sulla possibilità di espandere, attraverso il movimento e le sensazioni cinestetiche ad esso collegate, la consapevolezza di sé nello spazio circostante.

La differenza metodologica per arrivare a questo obiettivo risiede principalmente negli strumenti utilizzati.
Il metodo Feldenkrais è basato su sequenze di movimenti semplici, o addirittura elementari, che coinvolgono ogni parte del corpo; però, come nel Taiji, si fa appello all’ascolto profondo delle sensazioni che questi movimenti suscitano, e alla conseguente “esplorazione” di nuovi modi di muoversi e percepirsi.

I movimenti del Taiji sono molto complessi e richiedono presupposti posturali rigorosi, così come severa è la ricerca della più alta “qualità di movimento” basata sulla “connessione” dell’intero corpo, guidato dalla “mente volitiva”.
La finalità “pratica” dei due metodi è però simile e, volendo riassumerla in una frase, essa consiste nella “riorganizzazione del movimento”.

Per dare un esempio concreto di questo concetto, vorrei citare un “esperimento” (documentato con riprese video, tempi di esecuzione e carichi di lavoro) che ha fatto un mio amico, formatore Feldenkrais, personal trainer professionista e “saltuario” (a causa dei tanti impegni) praticante di Taiji.

Uno degli atleti “di alto livello” da lui seguiti (terzo ai campionati italiani di nuoto, un paio di anni fa) era impegnato in una seduta di stacchi da terra col bilanciere. Partiva da 120 chili per poi salire progressivamente. Non riusciva però ad arrivare mai a sollevare 200 chili (d’altronde, non è un pesista).

Il mio amico ha fermato ogni ulteriore tentativo e lo ha sottoposto a una seduta di “riorganizzazione del movimento” di 40 minuti, utilizzando il metodo Feldenkrais. Dopo di che, questo atleta riprova a fare lo stacco e, nonostante la stanchezza accumulata, riesce per la prima volta nella sua vita a sollevare 200 chili.

Cosa vuol dire tutto questo? Forse niente, oppure ci può suggerire l’idea che esistano “metodologie” in grado di condurci a una diversa consapevolezza delle nostre possibilità.
Nelle attività quotidiane utilizziamo soltanto una parte modesta delle nostre capacità intellettive e delle nostre risorse fisiche.
Esistono però metodi (e non parlo soltanto delle arti marziali “interne”, ma anche del Feldenkrais e, per altri versi, del moderno “allenamento funzionale”) che possono “tirarci fuori” capacità ed energie insospettate, che non sapevamo di avere ma che…sono lì, in attesa di essere utilizzate.
Nessuno ha mai sentito di casi in cui una donna esile è riuscita ad esprimere una forza fuori dall’ordinario sollevando un armadio o un muro pesantissimo crollato addosso al figlioletto nel corso di un terremoto? Penso di sì…

Però sono ancora in molti a storcere il naso davanti alla foto di una “spintarella” fatta col Fajin (emissione di energia). Oltretutto, lo ricordiamo per chi non lo sapesse, non si tratta di una prerogativa esclusiva del Taijiquan, bensì di una “modalità” attraverso cui si esprime la potenza istantanea in TUTTE le arti marziali interne.

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* Moshé Feldenkrais (1904 – 1984) è stato un fisico e ingegnere israeliano (naturalizzato britannico), creatore del metodo omonimo. Fu anche il primo judoka occidentale a conseguire la cintura nera (conferitagli nel 1936 dallo stesso Jigoro Kano, il “padre” del judo moderno.

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